Nell’attuale scenario pandemico, infatti, quella dei sanitari rappresenta la percentuale più alta dei casi positivi accertati. Già solo nel monitoraggio del 2020, la scheda tecnica INAIL su “I dati sulle denunce da COVID-19 (monitoraggio al 31 ottobre 2020)” evidenziava come, al 31 ottobre, siano state 66.781 le denunce di infortunio sul lavoro a seguito di COVID-19 e il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili etc.) rappresentasse il 69,8% delle denunce. Nell’attuale emergenza sanitaria gli obblighi in capo al datore di lavoro si sono senz’altro intensificati e sono divenuti via via più stringenti. I datori di lavoro, infatti, oltre che al rispetto dei dettami costituzionali e del codice civile, sono tenuti altresì ad attenersi alle normative speciali (Decreti e Ordinanze) emanate, in via d’urgenza, a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività, da Governo e Regioni, che, sono intervenute con disposizioni di dettaglio per contrastare il contagio da Covid-19, prevedendo restrizioni sulle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, di svolgimento di incontri e riunioni, di accesso agli spazi destinati alle mense etc. E’ stato, poi, disciplinato il comportamento da adottare in caso di contagi sospetti o confermati e sono state dettate regole sulla rilevazione della temperatura, l’igiene e la sanificazione dei luoghi di lavoro. Di particolare importanza sono anche tutte quelle disposizioni di dettaglio che hanno previsto una serie di misure per la protezione individuale (prescrivendo l’uso obbligatorio di mascherine), per l’igiene e sanificazione dei luoghi di lavoro (prescrivendo la tenuta di erogatori di disinfettante) e per il distanziamento fisico, il lavaggio delle mani e la sorveglianza sanitaria. nel complesso quadro di misure eccezionali introdotte dal Governo per fronteggiare la situazione pandemica, il D.L. n. 18/20, c.d. “Decreto Cura Italia”, è intervenuto con una specifica disposizione volta ad offrire un’immediata tutela economica ai lavoratori in caso di effettivo contagio da Covid. L’art. 42, co. 2, rubricato “Disposizioni INAIL”, in particolare, equipara i casi di accertata infezione da COVID-19 nell’ambito dei luoghi di lavoro, all’accertamento di ogni altro evento infortunistico, ai fini dell’erogazione delle prestazioni INAIL; Se ad un primo momento abbiamo assistito a qualche incertezza interpretativa nell’applicazione della norma, a far chiarezza sul punto è intervenuta la successiva circolare INAIL n. 13/2020, con cui l’Istituto previdenziale ha espressamente chiarito che anche i casi di Covid-19, relativi a medici, infermieri ed altri operatori sanitari in genere, sono da inquadrarsi come infortuni sul lavoro, “laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”. Non solo, l’INAIL, ha inoltre precisato, che, nei casi in cui non fosse possibile stabilire né provare in quale occasione sia avvenuto il contagio, si può presumere (quindi senza necessità della prova) che lo stesso si sia verificato sul posto di lavoro, in considerazione delle mansioni del dipendente contagiato e di ogni eventuale altro indizio in tal senso. Simile previsione non può che favorire principalmente gli operatori sanitari, esposti, certamente, per le loro mansioni specifiche, ad un elevato rischio di contagio, come ribadito anche nella successiva Circolare INAIL n. 13, del 3 aprile 2020. Ad una condizione di elevato rischio di contagio possono essere, parimenti ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico, come coloro che operano in front-office, alla cassa, o il personale operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto etc. L’applicazione di quanto sopra, consente così agli operatori sanitari una prima tutela rapida ed efficace del diritto leso, prescindendo dall’esatta individuazione del momento in cui il virus è stato contratto, tanto è vero che in questi casi si è parlato anche di “Rischio aggravato per operatori sanitari e categorie in costante contatto con l’utenza” La trattazione del contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro non ha escluso l’applicabilità del c.d. infortunio in itinere, e la tutela concorrente della malattia professionale, allorché ne siano provati tutti gli elementi costituitivi. Per le malattie professionali, infatti, non basta l’occasione di lavoro come per gli infortuni, cioè un rapporto anche mediato o indiretto con il rischio lavorativo, ma deve esistere un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia. Appare di fondamentale rilevanza evidenziare che l’indennizzo assicurativo non esaurisce le forme di tutela previste dall’ordinamento in favore degli operatori sanitari contagiati. In caso di contagio, come accennato in precedenza, potrebbe configurarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempimento degli obblighi di cui al sopra citato art. 2087 c.c. e alle disposizioni di sicurezza richiamate, prima tra tutte quelle contenute nel D.Lgs. n. 81/08. Il datore di lavoro, dunque, il datore di lavoro, può essere tenuto a rispondere civilmente per gli infortuni sul lavoro dei propri dipendenti allorché il sinistro sia riconducibile ad un suo comportamento colpevole per aver violato uno specifico obbligo di sicurezza imposto dalle norme di legge o dalle specifiche disposizioni contenute nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali. Di conseguenza si può, ad esempio, ritenere passibile di responsabilità, per il contagio dei propri dipendenti, una struttura sanitaria, che non provveda alla fornitura di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI), in quanto specificamente previsti dalle vigenti norme in materia per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Accertata la responsabilità del datore di lavoro, per violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza del lavoratore il lavoratore può, dunque, richiedere il risarcimento della differenza tra quanto versato dall'Inail a titolo di indennizzo (in modo automatico e tendenzialmente uniforme) per infortunio sul lavoro o malattia professionale, e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro a titolo appunto, di risarcimento del danno in sede civile (c.d. danno differenziale). In sostanza, al fine di ottenere, l’integrazione risarcitoria riguarda il danno subito dal lavoratore per le violazioni commesse dal datore di lavoro nella sua interezza; essa include, pertanto, la lesione alla salute e alla capacità reddituale, il peggioramento della qualità della vita del lavoratore (danno biologico) e il suo turbamento interiore (danno morale), ed anche le spese “vive” sostenute dal lavoratore (si pensi alle spese mediche, etc.), così come il mancato guadagno cagionato dall’infortunio occorso (danno patrimoniale). Per ottenere il riconoscimento del danno differenziale, il lavoratore è tenuto a fornire la prova dell’infortunio-contagio subito e della violazione da parte del datore di lavoro dei doveri di tutela dell'integrità fisica dei propri dipendenti. Concludendo, alla luce degli stravolgimenti occorsi per effetto dell'emergenza sanitaria, ciascun lavoratore che abbia contratto il COVID-19, in costanza dei presupposti illustrati, potrà senz'altro ottenere l'adeguato ristoro per l'infortunio e/o la malattia professionale subite.
Ref. Avv. Dario Bonuso